Montecatini 1986 Foto WDM
Nel 1984 avevo iniziato a documentare fotograficamente, in modo abbastanza sistematico, le rovine delle aree dismesse della zona Bovisa, a Milano.
Mi divertiva scoprire nuovi panorami da: "The day after"; in più ero mosso dal tentativo di comprendere cosa significasse ritornare negli stessi luoghi abbandonati a distanza di tempo, in stagioni diverse e momenti diversi.
Questa ricerca personale porterà poi all'esposizione del mio lavoro in una mostra fotografica, che avevo intitolato: "Dentro la Bovisa". Questa ricerca non è ancora terminata e conto di riprenderla nei prossimi anni, ritornando negli stessi luoghi per riprenderli nuovamente con tecniche diverse e portare a termine il mio progetto che sarà corredato da nuovi testi.
Durante una delle mie escursioni solitarie, alla ricerca di nuovi scorci e nuovi segni lasciati dal trascorrere del tempo, eravamo intorno al 1986, avevo incontrato per la prima volta Armando. Riporto di seguito il testo originale che scrissi all'epoca per registrare quell'incontro. WDM
20 dicembre 1990 Piazza Bausan, Milano Fotografia di Luca Pedroli.
Armando era tornato in Bovisa per visitare la mostra fotografica esposta in via Livigno ed in quella occasione conoscemmo Luca Pedroli che ci scattò delle fotografie.
INCONTRO IL RE DEI BARBONI
E' un caldo pomeriggio di
fine agosto, scendo degli scalini e lascio il treno che mi ha portato
a Milano alle mie spalle. Mi dirigo verso casa; a pochi passi dalla
stazione c'è uno spiazzo assolato; procedo stancamente sotto il peso
dei miei bagagli. Improvvisamente, da dietro un angolo del muro di
cinta di una delle poche fabbriche ancora attive, compare un vecchio
uomo abbigliato in modo eccentrico. Lo guardo e mi accorgo che si sta
dirigendo verso di me. Siamo gli unici viandanti in un paesaggio
deserto e desolato. L'uomo si muove con nervosismo; la mia attenzione
si concentra sui suoi lunghi capelli argentei e su un grosso fiocco
rosso da pittore che sboccia dalla sua folta barba bianca.
L'uomo
si ferma davanti a me ed immediatamente mi chiede dove si trova il
"Centro della Bovisa".
Le parole del vecchio
giungono alle mie orecchie, ma la mia mente reagisce come se non
riuscisse ad interpretare bene la sua domanda. Rimango stupito ed un
po'confuso; è da più di due anni che compio dei movimenti
concentrici in questa zona senza capire esattamente qual'è la mia
destinazione.
Osservo ogni muro, ogni
mattone, ogni spazio aperto che incontro, sono affascinato da questi
luoghi dimenticati da tutti e da tutti volutamente ignorati.
Le industrie chimiche sorte
alla fine del Milleottocento ed agli inizi del Millenovecento stanno
crollando a causa delle condizioni d'abbandono in cui si trovano.
Alcune sono già state demolite, le altre subiranno tra poco la
stessa sorte. E' affascinante camminare tra le rovine della civiltà
industriale; vengono alla mente molti pensieri; è un viaggio
all'interno delle mie origini e della mia coscienza: la pace ed il
silenzio degli spazi deserti consentono all'uomo di ritrovare se
stesso.
La voce del vecchio risuona nell'aria ripetendo la sua
arcana richiesta ed io abbandono l'immaginario percorso sviluppatosi
nella mia mente, ma non riesco a trovare una risposta che possa
soddisfare adeguatamente la sua bizzarra curiosità.
Ritenevo di conoscere la
zona piuttosto bene, mi ero avventurato nelle stanze vuote di palazzi
disabitati da decenni, avevo calpestato sentieri inesistenti che si
addentravano nelle profondità di una vegetazione selvaggia cresciuta
in un luogo da cui gli uomini si erano, un giorno, allontanati,
proprio come se molti di loro fossero stati colpiti da qualche
misteriosa epidemia.
Io, che avevo imparato a
muovermi con sicurezza su pavimenti incrinati e scale pericolanti,
non mi ero ancora chiesto quale potesse essere l'epicentro intorno al
quale tutto questo degrado si muovesse ed intorno al quale io stesso
ruotavo.
Può sembrare un paradosso,
eppure, nonostante apparentemente nessuno entrasse in questi
territori proibiti, si potevano riscontrare perennemente i segni di
altre presenze.
Vengo riportato alla realtà
dall'assurda fretta di un tipo bizzarro che pare essere soltanto una
presenza anacronistica in un luogo dimenicato da tutti. Credo che
anche questo uomo stia cercando qualcosa. Dice di essere un artista,
ha con sè una borsa logora ed una cartelletta piuttosto ingombrante.
Dall'insistenza con cui parla del "Centro della Bovisa”
capisco che il mio interlocutore non deve avere le idee molto chiare.
Sembra piuttosto deluso da ciò che vede, forse non si aspettava di
trovare le rovine della civiltà industriale, bensì la piazza di un
borgo medie vale mai esistito. Vorrei dirgli che si trova in una zona
settentrionale di Milano, ma decido che, forse, è meglio
indirizzarlo verso Piazza Bausan. Se ne va deluso, senza salutare. Io
riprendo la mia strada senza curarmi più del destino del vecchio
vagabondo. Il giorno seguente, una domenica, ritorno nei luoghi delle
mie solite osservazioni. Cammino per le strade semideserte e
sbudellate dai lavori in corso pensando ancora dove si possa
collocare il centro della Bovisa. Mi chiedo se il centro geografico
della zona corri sponda ad una via, una piazza, un edificio, una
panchina o cos'altro.
Sto percorrendo Via degli
Imbriani, incrocio alcuni passanti appena usciti da una gelateria.
Nei loro volti leggo la soddisfazione di ritrovarsi insieme in un
pomeriggio che si vorrebbe veder volgere in sera, per dimenticare in
fretta una giornata anonima e vuota. Un uomo con un grambiule bianco
e con un berretto dello stesso colore mi saluta e mi guarda con aria
interrogativa da dietro un contenitore-frigorifero. "Pistacchio
e nocciola, grazie".Dopodichè mi dirigo lentamente verso Piazza
Bausan. All'angolo con la Via Mercantini mi fermo. Sul marciapiede
c'è qualcosa scritto con dei gessetti colorati:
Attesa
Non dite che meglio
sarebbe stato tenere le ricchezze nel cassetto.
Un bimbo grida e piange
nella stalla.
Polvere e nuvole di
fuoco nell'aria,
l'oro fonde e l'acqua
bolle.
Un deserto di cadaveri
viventi,
l'uomo grida e piange le
ricchezze.
Ma contro i cavalieri,
dodici pescatori, con quaranta spade di stoffa
ed armature di cenci,
guidati da una colomba combattono per noi.
Un re, con una bandiera di
un sol colore canta una vecchia canzone
e la canzone è amore.
Vicino a questa poesia ce
n'è un'altra, alcune parole sono un po' cancellate, ma è comunque
leggibile.
Silenzio
Silenzio.
Una Parola misteriosa,
quasi magica.
Infiniti significati sono
nascosti dietro ad un silenzio:
un consenso, un rifiuto,
una promessa per
l'eternità.
Un silenzio può dire più
di mille parole
per chi sa e vuole
ascoltare.
Si può far sognare con un silenzio.
Ma si può anche far morire.
Si può far sognare con un silenzio.
Ma si può anche far morire.
E noi col nostro silenzio
abbiamo ucciso un amore.
Alzo gli occhi dall'asfalto,
accanto a me si è fermato un uomo anziano. Legge molto attentamente
"Silenzio" e poi si sposta per vedere meglio le parole che
compongono "Attesa".
Attraverso la strada, un
cartello avverte i cittadini che quando saranno terminati gli scavi e
la posa di certe condutture tutti potranno beneficiare di un servizio
moderno, in quanto poco inquinante. E pensare che a poche centinaia
di metri da qui nessuno sembra essersi mai preoccupato di danneggiare
l'ambiente.I marciapiedi,
così ridotti, consentono il passaggio di una sola persona alla
volta, poco più avanti,
dove lo spazio è maggiore qualcuno ne ha subito approfittato per
scrivere qualcosa per terra:
Tamburi suonano a festa
Nel gran silenzio suonava
un violino
è festa, è nato Gesù
Bambino.
Casca l'Impero Romano
cascano tutti gli imperi.
Frugo nello zaino che
contiene le mie macchine fotografiche, finalmente riesco a recuperare
dal fondo un quaderno sul quale trascrivere le poesie di un uomo che
credo di conoscere.
Già domani questi versi non
ci saranno più; nonostante non ci sia molto spazio per camminare, la
gente non li calpesta, ma questa sera probabilmente pioverà.
Milano 1988, WDM
Walter e Armando Foto di Luca Pedroli
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